Una storia di due secoli che arriva fino ai nostri giorni
Giuseppe Bonaparte emana un decreto che istituisce i licei nel Regno delle Due Sicilie, con l'obiettivo di formare la futura classe dirigente. Questo modello segue le leggi francesi e introduce un metodo scientifico affiancato dall'educazione ecclesiastica.
Il Reale Collegio viene fondato ad Avigliano, destinato a educare i giovani della Basilicata. La sede è stabilita nell’ex collegio domenicano, e il primo rettore è il sacerdote Giovanni Selvaggi. La biblioteca scolastica nasce con libri provenienti dagli ordini religiosi soppressi.
Dopo controversie e sospetti di influenza massonica, il Reale Collegio viene trasferito da Avigliano a Potenza. Il nuovo criterio di selezione degli studenti e dei professori si basa sulla lealtà alla corona anziché agli ideali repubblicani.
Il rettore Domenico Dolcetti introduce una gestione amministrativa più trasparente e un sistema di finanziamento in cui i comuni partecipano al mantenimento del collegio, garantendo così piazze franche per i propri studenti. Questo porta a un aumento delle iscrizioni, fino a 71 studenti nel 1841.
Dopo un periodo di controllo rigoroso, la gestione del collegio passa ai Gesuiti, che introducono le prime collezioni scientifiche e strumenti per laboratori di chimica e fisica. I Gesuiti manterranno la gestione fino al terremoto del 1857.
Con l’Unità d’Italia, la Legge Casati porta alla suddivisione del collegio in Ginnasio, Liceo e Convitto. La nuova struttura incontra difficoltà iniziali dovute a problemi economici e alla preparazione degli studenti, e la scuola è considerata tra le peggiori del regno per alcuni anni.
Nonostante le sfide, il Liceo Ginnasio di Potenza viene intitolato a Salvatore Rosa e registra un incremento significativo delle iscrizioni, con oltre 100 studenti. La scuola riesce a completare i programmi ministeriali per molte classi.
La riforma di Giovanni Gentile introduce un nuovo ordinamento scolastico, in cui il Liceo classico diventa il percorso formativo d’eccellenza. Viene istituito l’esame di Stato, con una commissione esterna e una valutazione formale che uniforma il trattamento tra studenti di scuole pubbliche e private.
Dopo vari spostamenti, il Liceo si trasferisce nella nuova sede in Via Vaccaro, che rappresenta una fase di stabilità per l’istituto. La struttura si espande con l’introduzione di aule per l’Istituto Magistrale, aule speciali e un aumento graduale degli studenti.
Dopo il terremoto del 1990 e un periodo in sedi temporanee, il Liceo ritorna in Via Vaccaro. La scuola si concentra sul miglioramento dell’offerta formativa, introducendo nuovi corsi e programmi che attraggono sempre più studenti, consolidando la sua reputazione come centro di eccellenza accademica.
Nel Regno delle Due Sicilie solo con Gioacchino Murat prima e Giuseppe Bonaparte poi l’istruzione, chiamata a formare la nuova classe dirigente proveniente dai ceti medi emergenti, assume un ruolo cardine all’interno dell’ordinamento statale.
In tale contesto si inserisce il decreto (sul modello della legge Fourcroy) del 30-05-1807 con cui Giuseppe Bonaparte istituisce i licei nel Regno delle due Sicilie.Questi avevano il compito di educare le élites usando il metodo scientifico affiancato dal centenario modello educativo ecclesiastico.
In Basilicata il Reale Collegio fu istituito nel 1809 e aperto ad Avigliano, nel collegio dell’ordine dei domenicani, soppresso il mese prima. Importanti e per la scelta del luogo dove aprire il reale collegio e per la scelta del corpo docenti, del corpo amministrativo e per la scelta degli alunni fu la fedeltà alla causa repubblicana dimostrata nelle vicende del 1799. Il primo rettore fu il sacerdote Giovanni Selvaggi e il vicerettore il sacerdote Tommaso Giuseppe Gagliardi.
L’attività didattica cominciò nel novembre del 1809 e gli alunni iscritti sono 15 (il basso numero di iscritti registrato all’apertura del Reale Collegio resterà tale per i primi anni della sua attività), fra questi pochissimi i lucani. Nel collegio c’era posto anche per ragazzi provenienti da famiglie numerose o con problemi economici che potevano sfruttare le 14 mezze piazze franche.
Fin dai primi mesi da parte dell’amministrazione scolastica e provinciale ci fu grande attenzione per la costituzione di laboratori scientifici e della biblioteca scolastica (che con la formazione sarebbe diventata la prima biblioteca pubblica della provincia). Questa si doveva formare con il patrimonio librario proveniente dagli archivi degli ordini religiosi soppressi e fatti convogliare nella biblioteca del collegio, secondo una selezione dettata dallo stesso presidente del Giurì Emanuele Viaggiano. Il primo inventario del 1816 ad opera del rettore Saverio Coscia dimostra, però, come i libri presenti nella biblioteca erano solo quelli appartenuti al soppresso ordine domenicano.
Dello stesso anno è il decreto che da Avigliano sposta nella sede di Palazzo Loffredo, a Potenza, il Reale Collegio di Basilicata.
Ebbe un peso rilevante nel trasferimento del Collegio a Potenza il caso dell’alunno Achille Lattazzi e il suo mancato tentativo di costituzione di una loggia massonica all’interno dell’istituto. Infatti, nel clima di restaurazione, quanto accaduto diede la giustificazione formale alla classe dirigente potentina per pretendere l’allontanamento dei giovani dall’ambiente aviglianese che in qualche modo, secondo quelli, li avrebbe influenzati.
Di fatto il trasferimento avvenne solo nel 1822. Il criterio di selezione di alunni e professori era la fedeltà dimostrata non più all’ideale repubblicano ma alla corona.
Tra il 1833 e il 1835 a dimostrazione di una crescente fiducia nell’istituzione scolastica, dovuta all’alta qualità e del corpo docenti e dell’insegnamento e all’importanza acquisita dal collegio sul territorio, si registrò un notevole aumento delle iscrizioni. Proprio alla fine di quegli anni coprì la carica di rettore Domenico Dolcetti che non solo avviò un’opera di maggiore trasparenza nella gestione amministrativa ma stabilì anche, “Progetti di Ratizzo”, le quote con cui i comuni partecipavano al mantenimento del collegio, assicurandosi le piazze franche per i propri studenti. Questi fu trasferito nel 1841, dopo aver portato il numero degli iscritti a 71. Dopo i moti del 1848, a cui il Collegio (così come nel 1861) fra professori e alunni diede un notevole contributo, si fece sentire la morsa della repressione e del controllo borbonico, l’attività di professori e alunni fu dettagliatamente scandagliata con appositi registri e alcuni professori furono trasferiti a causa della loro commistione con quanto accaduto. Per tali motivi il rettorato fu affidato al rigido e severo Francesco Lamboglia che riportò la calma e fece riavviare l’attività didattica. Pochi mesi dopo il trasferimento di Lamboglia (avvenuto alla fine del 1849) con un decreto datato 20-06-1850 l’amministrazione della scuola e l’educazione dei giovani vengono affidate all’ordine dei gesuiti, che gestiranno il Real Collegio fino al terremoto del 1857 (che interromperà l’attività didattica per quattro anni) e che forniranno alla scuola le prime collezioni scientifiche e i primi strumenti per i laboratori di chimica e fisica.
La gestione del collegio fu sottratta ai gesuiti il 31-08-1860 dal governo prodittatoriale appena formatosi e fu affidata ad un commissione cittadina presieduta da Pasquale Ciccotti.
Con l’unificazione dell’Italia l’attività didattica e amministrativa fu regolamentata dalla Legge Casati, introdotta il 10-02-1861.
Questa nell’intento di riformare la scuola prevedeva la divisione delle vecchie istituzioni in tre strutture autonome: Regio Ginnasio, Liceo e Convitto e per una possibilità prevista dalla legge il rettore di Potenza Paolo Coronati(già rettore nel 1845 e allontanato dalla carica perché distintosi tra gli oppositori della corona nei moti del 1848) diresse sia il convitto che il Liceo ginnasio.
Il nuovo Liceo ginnasio, ancora ubicato nella struttura gravemente danneggiata dal terremoto del 1857, stentò a ripartire sia per problemi di natura economica, infatti le rendite comunali non riuscivano a garantire la copertura delle spese per gli insegnanti, sia per il rifiuto di molti degli stessi insegnanti di occupare cattedre in una sede provinciale come quella potentina. A tutto questo si aggiunsero la pessima preparazione degli allievi provenienti dagli istituti privati e la conseguente impossibilità di tenere il passo con i programmi ministeriali. Per tutti questi motivi nell’ambito della nuova riforma la scuola lucana fu annoverata tra le peggiori del regno. Nonostante tutte queste difficoltà nel 1864, anno in cui il Liceo ginnasio viene intitolato a Salvatore Rosa, si registrò l’iscrizione di 100 alunni e la conclusione in molte classi dei programmi ministeriali.
I rapporti delle visite ispettive che cominciarono ad avere luogo a partire dal 1866 oltre che riportare la lode e il biasimo per alcuni professori denotano sia la capacità del nuovo Liceo ginnasio “Salvatore Rosa” di far fronte alle difficoltà degli studenti provenienti dagli istituti privati (infatti gli aspri giudizi sulla preparazione degli studenti nelle prime classi ginnasiali si attenua per gli studenti frequentanti il liceo).
Dall'unità alla prima Guerra Mondiale
Il liceo continuò la sua funzione negli anni compresi tra il 1870 e la prima guerra mondiale senza scosse, senza grandi numeri di allieve e con insegnanti nominati dal ministero e solitamente competenti. L’utenza era costituita dai figli dei commercianti dei commercianti e dei professionisti della città e della provincia e anche dai figli dei pubblici funzionari, nativi della città o qui trasferiti per promozione, punizione o prima nomina.
Fu quello il tempo di non trascurabili modificazioni nella facies culturale della città. Si costruirono le linee ferroviarie di Metaponto-Battipaglia e quella di Potenza-Foggia, che aprirono la città alle influenze esterne e la sottrassero definitivamente a quell’isolamento selvaggio per cui chi andava a Napoli doveva far testamento. Queste determinarono anche l’innesto di altre mentalità in quella propria di Potenza e la gradevole sorpresa della compatibilità della propria cultura con quella “aulica” .
Eccellente scoperta fu quella della totale compatibilità linguistica tra il patrimonio glottologico della colonia gallo-italiana potentina, titese, pignolese e picernese con la più nobile tradizione nazionale.
Non si sapeva perché ma si scoprì che il potentino acculturato parlava l’italiano meglio di chiunque altro nel sud tanto da non poter essere riconosciuto come meridionale.
Il perché lo disse nel 1948 Gerhart Rohlfs nella sua storia della lingua italiana e dei suoi dialetti (Einaudi 1956 vol. I pag. 120). Quella potentina è una colonia gallo-italiana di eretici trasferiti dal nord- Italia in queste plaghe agli albori dell’undicesimo secolo. L’autore dice che il dialetto potentino è il più prezioso documento della lingua parlata nel nord- Italia nell’undicesimo secolo; il che vuol dire che gli eretici progenitori erano valdesi(in quanto solo questa comunità religiosa fiorì nel tempo qui indicato)che vennero qui sospinti dalla forza e coperti di infamia iuris et facti. E questo rende conto anche della feroce castigatezza dei costumi,tutta ereticale,del rifiuto d’ogni orpello(si guardi il costume della donna potentina: nero, senza ori, con la sola camicetta bianca, accollato) e si guardi anche l’atteggiamento schivo ed ironico del potentino medio. Tutto questo si scoprì al momento dell’apertura del vaso di Pandora. Era anche il tempo della cultura positiva, quella che Benedetto Croce definì il tempo della scuoletta positivista. I testi erano spaventosamente aridi, per nnon lasciare spazio a nulla che non fosse rigidamente qualificabile, calcolabile, misurabile, verificabile,cioè nulla che non fosse sensibile,con elusione dell’idea e spesso anche del concetto e quindi con il sacrificio dell’essenza stessa della cultura. E ciò valeva per l’italiano, il greco, il latino, la storia, la filosofia, l’arte. Non valse per fortuna per la matematica, la fisica e le scienze che si giovarono della mentalità del tempo. Proprio in questo periodo infatti furono impiantati i gabinetti di fisica, chimica e biologia con pregevoli collezioni di mineralogia, di animali impagliati, di reperti biologici custoditi in formalina (feti non esclusi) e con macchine utili per i fondamentali esperimenti di meccanica, ottica,acustica ed elettrologia.
Fu l’anno dell’esposizione di Parigi, l’anno del trionfo della scienza, fu la belle èpoque. Vienna splendeva di luci mentre si accingeva a morire, l’umanità fidava nelle sue magnifiche sorti mentre si preparava la carneficina. Pio XI paventava il conflitto e scomunicava il modernismo con la bolla “Pascendi domini Gregis”. Il piccolo gregge potentino era retto da Mons. Roberto Razzoli, frate minore, già custode di Terra Santa, poeta,uomo semplice ma energico, che, al momento della dichiarazione di guerra, rispedì all’imperatore d’Austria l’insegna del Toson D’oro, di cui era stato insignito, per dire che era tutto italiano,era un nazionalista.
Era in contrasto con mons. D’Elia, parroco della SS. Trinità in Potenza, capo del Partito Popolare, nonché zio del più famoso don Giuseppe De Luca. Questa la temperie in cui navigava la navicella del liceo nei primi anni del ventesimo secolo. Poi fu la guerra e professori e studenti del liceo morirono in tanti.
Il primo dopoguerra e l'avvento del Fascismo
I primi moti insurrezionali di matrice fascista non riguardarono da vicino il liceo-ginnasio, poiché in Lucania,in genere ed a Potenza, in specie, si nominarono capi e membri di squadre fasciste persone di testa calda, senz’arte né parte e prive di buona stima pubblica; tra di esse non figuravano né professori né studenti del liceo.
Altra cosa fu la riforma della scuola operata da Giovanni Gentile, ministro della pubblica istruzione, negli anni venti, che si concretò con i decreti del 1924 e del 1925 istitutivi del nuovo ordinamento scolastico. Tale riforma prevedeva un quinquennio inferiore chiamato ginnasio,comprensivo di quella che sarà poi la scuola media;questo era culminante in un biennio propedeutico in cui iniziava lo studio della lingua greca, essendo iniziato in prima quello della lingua latina ed in secondo quello della lingua moderna straniera. Il ginnasio era seguito dal triennio liceale al termine del quale la riforma prevedeva la novità dell’esame di stato,sui programmi di questi ultimi tre ultimi tre anni, con la commissione esterna e con l’ammissione agli orali sia per l’italiano sia per il latino(per il quale erano previste due prove scritte: una di traduzione dall’italiano al latino e una di traduzione dal latino) sia per il greco (che come per il latino erano previste due prove scritte). Voto richiesto per l’ammissione agli orali: cinquedecimi.
Perché gli esami di stato? Per assicurare identico trattamento agli allievi della scuola pubblica e a quelli della scuola privata(intendendo generalmente quella cattolica). Percentuale dei maturati anno per anno 67-70% dei candidati. Se il liceo sia stato fascista o antifascista nel ventennio successivo(1924-1944) è cosa assai controversa perché sicuramente l’apparato gerarchico funzionava ed esigeva obbedienza ed i presidi aderivano alle campagne indette dal ministero senza batter ciglio. L’istituto aderì alla campagna di lotta antimalarica, a quella di lotta contro la tubercolosi, contro la mosca, nonché alle campagne ideologiche.
Le risposte dei professori ai questionari dei presidi denotavano, però, la loro adesione puramente formale alle iniziative, il fastidio,a volte, addirittura la noia. Esemplare il caso del giovanissimo professore Giancarlo Bolis (piemontese, ordinario di latino e greco, morto tra i primi nel secondo conflitto mondiale) che dichiarava soddisfacente (sic) il risultato della prova proposta agli alunni, l’errore è indice del fastidio, trattandosi di persona assai colta e preparata. Preside antifascista per eccellenza fu Raffaello De Laurentis, leccese, persona di grandissima cultura, versata in tutte le discipline, dedita alla missione dell’educazione, terrore e punto di riferimento dei giovani: alcuni,però, lo spacciano per fascista per aver egli comminato sanzioni disciplinari a qualche professore sicuramente antifascista ma anche di preparazione non salda e collaudata.
Dopo la seconda Guerra Mondiale
L’ordinamento restò immutato e fu quello gentiliano, perché la necessità della ricostruzione distolse l’attenzione della politica dalla riforma scolastica nonostante la reclamata democratizzazione di questo sistema.
Il contesto fu quello del grave disagio civile per i molti lutti determinati dalla guerra e dalle enormi difficoltà economiche.
Il liceo dovette lasciare la sua sede di palazzo Loffredo per via del bombardamento che lo ha colpì e vagò per molti siti (la scuola elementare di Santa Maria o quella che era la scuola elementare di via Verdi). Continuarono ad accedere al liceo-ginnasio alunni provenienti da tutta la provincia, poiché ancora non esistono altri licei nel territorio. Solo i più facoltosi si iscrivevano al liceo della badia di Cava dei Tirreni o nei licei retti dai salesiani in Campania; alcuni,dal lembo occidentale della provincia o dal Lagonegrese accedevano al liceo-ginnasio di Sala Consilina.
La qualità degli insegnanti era quella che può essere dopo la fine della guerra. Gli alunni erano eccellenti poiché assai motivati, desiderosi di libertà e di affermazione sociale. Trovavano incentivi alle loro belle speranze nel libero associazionismo laico e cattolico (circoli giovanili socialisti, Azione Cattolica italiana ecc.). L’epoca,però,caratterizzata dal bisogno di ricostruzione escluse gli impeti rivoluzionari.
Nel 1956,a dieci anni dal termine della guerra, il liceo si trasferì dalla scuola elementare di via Verdi,in viale Marconi, alla nuova sede di via Vaccaro, che lo ospita attualmente.
La nuova sede non ancora completata fu messa in funzione per dar sollievo alla scuola cittadina dove si praticavano i doppi turni. Presto la sede di via Vaccaro fu completata e ricevette così anche l’istituto Magistrale (che vi si trasferì dall’antica sede attigua al municipio in piazza del sedile).
Mancavano ancora tutte le aule speciali perché non era stato costruito il corpo avanzato che si affaccia su via Vaccaro; l’istituto constava dei soli locali prospicienti la via Amerigo Vespucci.
Molti, i più,tra gli studenti erano potentini, molti i viaggiatori e i pensionanti accolti da famiglie bisognose di incrementare il magro reddito impiegatizio, molte erano le studentesse ospitate dalle Discepole di Gesù Eucaristico, i più ricchi, infine, erano convittori del Convitto Nazionale Salvatore Rosa (il quale allora accettava iscrizioni solo a pagamento e i cui alunni ostentavano la divisa simile a quella dell’Annunziatella). I corsi erano quattro fino al 1956-57, furono poi tre in seguito; le classi quindici ma andarono crescendo progressivamente.
Per quanto riguarda gli insegnanti la situazione cominciò a regolarizzarsi anche se pochissimi erano i professori di ruolo o quelli abilitati, molti i supplenti. Dopo un periodo di presidenze provvisorie cominciarono ad affluire presidi di ruolo: Quercia, Vasile; Ciccalese; De Flora ed altri che per l’esiguità del loro mandato non riuscirono a lasciare il segno. In quegli anni sopperiva l’alta provvisorietà che circondava il liceo lo spirito di abnegazione di alcuni insegnanti, anche a fronte di uno stipendio risibile e di infinite difficoltà assicurarono il servizio ai giovani studenti volenterosi.
I giovani che frequentavano il Seminario Parificato Regionale minore che ospitava solo il biennio ginnasiale,poiché il triennio liceale era incluso nel seminario maggiore di Salerno, sostenevano l’esame nel liceo ”Q. Orazio Flacco” al termine della quinta ginnasiale, per decisione dei vescovi dopo gli anni cinquanta. Si decise ciò sia per il riconoscimento civile dei titoli di quelli che sarebbero stati i sacerdoti diocesani, sia per agevolare quei molti giovani che avrebbero lasciato il seminario per aver scoperto di non avere la vocazione e molti, in verità, in seminario ci andavano senza alcuna vocazione ma per poter studiare gratuitamente.
Il '68 nel liceo di Potenza
Il ’68 a Potenza è giunto in ritardo (non prima del ’70) ma virulento e dirompente. Molti lo hanno salutato come un vento di novità necessario per spazzare vecchiume, ipocrisia, interessi consolidati e monopolio politico. Era in discussione l’egemonia democristiana in Italia e in Lucania non meno. Profeta lucido degli eventi che si andavano compiendo era stato Pier Paolo Pasolini che già negli anni cinquanta aveva dettato il programma: destrutturate per ristrutturare. Ad essere destrutturati dovevano essere i valori tradizionali di:Dio,Patria e Famiglia. Gli attacchi, quindi, si apportavano alla religiosità tradizionale, all’ordine costituito e alla famiglia.
Quest’ultima era il luogo del conformismo,dell’ipocrisia, della repressione; in Lucania si aggiungeva a questo il “familismo amorale” di cui la società di Basilicata fu accusata da sociologi americani e che consisterebbe in un costituirsi della famiglia in un valore primario a danno della moralità e della legalità, in altri termini: il presupposto culturale della mafia. Gli studenti del liceo potentino aderiscono in massa al movimento di contestazione,alcuni per amore di novità, altri per fremito di libertà,altri per calcolo opportunistico. Si tennero sedute del collegio plenario dei professori aperte agli studenti e il confronto fu sensato e proficuo. Capeggiava lo schieramento dei contestatori il professore Giovanni Calice,che sarà poi consigliere regionale del PCI, senatore della Repubblica, storico ed editore. Prematuramente scomparso, fu uomo di forte tempra, di lucido ingegno e fortemente partigiano ancorché leale e cavalleresco. Capeggiava lo schieramento moderato il professore Mecca, poi Preside dell’istituto fino all'a.s. 2009/10. Dei giovani studenti del liceo, due almeno furono implicati in fatti di sangue. Dopo tutto parve rimanere identico, ma tutto mutò radicalmente.
Dopo i decreti delegati
La liberalizzazione dell’accesso all’università, voluta dal legislatore per esaurire le richieste dell’opinione pubblica come erano venute maturando dal ’68, cioè l’accesso di ogni diplomato ad ogni facoltà e l’estinzione conseguente del privilegio del liceo classico dal quale solo si poteva accedere a tutte le facoltà in costanza di legislazione gentiliana, comportò una rivoluzione totale nell’assetto del liceo.
Molti credettero che non occorresse più nessuna base filosofica e filologica per la continuazione degli studi all’università, molti diedero fiato alle trombe del disprezzo della tradizione umanistica, molti sottolinearono la pochezza dei contenuti scientifici nella preparazione liceale. Si continuò nell’equivoco per decenni.
Il terremoto del 1990, assestando il colpo definitivo al fabbricato di via Vaccaro, comportò l’evacuazione di quello e la disseminazione degli alunni per vari fabbricati della città (il centro sociale di Malvaccaro, la scuola media di Rione Lucania, ecc...) fino al trasferimento nella sede del Seminario Metropolitano Maggiore di Malvaccaro.
Nel 1990 gli alunni erano 1100, all’epoca del ritorno nella sede di via Vaccaro (2001) poco più di 500. Che cosa era accaduto che aveva determinato un simile effetto? Molto dell’affollamento degli anni ’90 era dovuto in parte al boom demografico in parte ad una maggiore facilità degli studi conseguente ai decreti delegati che avevano mitigato il grande rigore della scuola gentiliana.
Alcuni ritengono che il calo delle iscrizioni fosse dovuto alla lontananza della sede dal centro storico, altri, con più fondamento, ritengono che il calo fosse dovuto alla povertà dell’offerta formativa per l’esiguità e l’inidoneità dei locali e delle attrezzature.
Il problema più vero era costituito dalla necessità di pensare criticamente la funzione storica, sociale e pedagogica del liceo-ginnasio “Quinto Orazio Flacco” nel nuovo contesto degli studi riformati, dell’Università riformata e di un assetto socio-economico post industriale in una regione e in una città che non avevano conosciuto l’industrializzazione ma che dovevano amministrare la fortuna nota di un patrimonio idrico considerevole ed invidiato e quella ignota, o meglio ignorata, (attesi gli studi del professore Lazzari della facoltà di geologia dell’università di Napoli) del patrimonio sommerso degli idrocarburi.
Fu così che Collegio dei professori, Consiglio d’Istituto e Preside si dovettero accingere a pensare una riforma possibile del liceo.
Si delineavano tre possibili scelte: 1) quella della innovazione totale, con la trasformazione degli studi classici in studi di antropologia culturale, cioè dalla pagina dell’autore greco o latino alla individuazione della “facies culturale” greca o latina, per dirla in termini semplici, della definizione dell’uomo greco e dell’uomo romano, senza più declinazioni, coniugazioni ed altro di siffatto genere. 2) la riforma con la conservazione della essenza e l’introduzione del nuovo indispensabile e nulla più. 3) la conservazione “tout court” del modello gentiliano.
Scartata la terza ipotesi perché palesemente anacronistica, si scartò anche la prima ipotesi che tentava tutti quelli punti da prurito di novità. Si scelse la seconda ipotesi, quella cioè della conservazione del modello essenziale della “ratio studiorum” e della introduzione in maniera prudente ed oculata delle novità indispensabili, in modo che il nuovo si armonizzasse con l’antico. Le novità introdotte furono: A) l’insegnamento dell’informatica nelle due classi del ginnasio, complementare, antimeridiano, gratuito ed impartito da laureati in informatica. B) il potenziamento dell’insegnamento matematico, un’ora in più alla settimana in quarta e quinta ginnasiale nonché in seconda e terza liceale, allo scopo di giungere allo studio delle funzioni (calcolo integrale) . C) prosecuzione dello studio dell’inglese nel triennio (due ore alla settimana in tutte le classi del triennio).
Queste poche scelte essenziali nate dalla concreta esperienza del corpo docente e del preside, rivelatesi poi di gradimento generale ( ve ne sono di identiche in tutta Italia, vedi liceo Tito Livio di Padova) hanno compiuto il miracolo. Nel corrente anno scolastico gli iscritti sono novecento, nonostante il calo demografico.
Il “Quinto Orazio Flacco” ha imboccato la via dell’eccellenza. Tale affermazione è confermata dall’accresciuto numero degli iscritti, che di per sé dichiara il pubblico gradimento, l’elevato numero dei suoi diplomati che accedono con onore alle scuole universitarie a numero chiuso, segnatamente alle facoltà scientifiche, i risultati delle valutazioni INVALSI che nel corso degli ultimi anni assegnano al nostro liceo un punteggio medio di circa dieci punti maggiore di quello dei licei d’Italia, i quali già si collocano in notevole vantaggio rispetto agli altri tipi di scuole secondarie di secondo grado.
Prospettive
Servire la città ed il territorio con umiltà e con fedeltà alla tradizione bisecolare. Servire ispirandosi a sana laicità, senza retrivi anticlericalismi ma senza bigottismi, nella certezza della luminosità della tradizione cristiana ma anche nella libertà del dubbio non scettico ma critico. Sapendo che allo stato di fatto hanno contribuito i martiri del 1799, i martiri del Risorgimento italiano, lucano e potentino; non di meno i portatori dei valori liberali e i propugnatori dei valori marxisti che nella tradizione lucana sono rappresentati, tra l’altro, dai nobili ingegni di Raffaello Pignatari e di Tommaso Pedio eredi dell’altrettanto nobile ingegno di Ettore Ciccotti.
Bibliografia
“Una istituzione culturale nella Basilicata dell’ottocento:il Liceo classico di Potenza”
della Dott.ssa Maria Teresa Gino
Rapporti INVALSI 2001
Rapporti INVALSI 2002
Rapporti INVALSI 2003
Rapporti INVALSI 2004
Rapporti INVALSI 2005
“Le basi morali di una società arretrata,bologna,1976” di Edward C. Banfield